Con una storica sentenza del Tribunale di Bergamo (n.951 del 6novembre 2025), un giudice di merito ha riconosciuto per la prima volta in Italia il diritto al risarcimento per il danno morale patito da una dipendente, vittima di atti ritorsivi da parte del datore di lavoro (un ente pubblico).
I fatti della sentenza
Le prime segnalazioni della dipendente risalgono al 2018, quando segnalò prima internamente, poi successivamente anche all’ANAC, una serie di irregolarità relative ad erogazioni di buoni pasto, indennità di turno e permessi studio. Successivamente, nel luglio del 2019, insieme ad un altro collega, segnalò alla Guardia di Finanza altri illeciti relativi a richieste di cofinanziamenti e irregolarità nei criteri di valutazione della performance e nel pagamento dei premi di produttività.
In seguito a tali denunce, fu rivelata la sua identità di segnalante e da quel momento iniziò a subire intimidazioni, insulti, minacce e aggressioni verbali da parte di colleghi e superiori. Inoltre, dal 2020 iniziò ad essere demansionata, a ricevere valutazioni della performance ingiustificatamente negative, a subire due procedimenti disciplinari e ad essere assegnata a mansioni per le quale non le veniva fornita adeguata attrezzatura.
Per tutti questi motivi, la signora presentò una denuncia per mobbing e una domanda di risarcimento per danno biologico, danno morale, esistenziale e alla professionalità.
Il riconoscimento della qualifica di “whistleblower” nella vecchia disciplina
Nel merito, il Tribunale di Bergamo in Sezione Lavoro, riconosce la qualifica di “whistleblower” per la dipendente, nonostante essa fosse anche Rappresentante Sindacale Unitario (RSU) e, pertanto, la sua posizione doveva essere tutelata dall’art. 54 bis del D.Lgs. 165/2011.
L’articolo sopra citato, oggi abrogato dal D.Lgs. 24/2023, prevedeva che “il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione”.
Tali tutele per il segnalante erano escluse solo in caso di accertamento, con sentenza di primo grado, della responsabilità penale dello stesso per calunnia o diffamazione. Inoltre, sia nella decreto legislativo oggi abrogato che in quello attualmente in vigore, è prevista l’inversione dell’onere della prova, per cui è carico del datore di lavoro la dimostrazione che le misure discriminatorie o ritorsive abbiano motivazioni che non riguardano la segnalazione. Se, come nel caso di specie, tutto ciò non viene adeguatamente dimostrato, gli atti ritorsivi adottati sono nulli.
Dopo aver accertato la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’art. 2087 c.c. per aver consentito il mantenersi di un ambiente di lavoro stressogeno, fonte di stress e logorio fisico e mentale, il Tribunale di Bergamo procede alla quantificazione del danno subito.
Il danno non patrimoniale
Proprio questo passaggio rappresenta un’assoluta novità nel panorama giurisprudenziale italiano, in quanto per la prima volta un giudice di merito riconosce la risarcibilità del danno morale a un whistleblower.
La sentenza si preoccupa in primo luogo di ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale in materia di danno non patrimoniale:
- è risarcibile quando è espressione di una lesione seria ad un diritto di rango costituzionale, per cui non sono risarcibili i meri fastidi o disagi;
- si tratta di una macrocategoria che racchiude varie sotto-tipologie definitorie, quali il danno biologico, quello esistenziale, quello terminale ecc…;
- all’interno del danno non patrimoniale si distingue:
- la componente dinamico-relazionale, ovvero il pregiudizio subito dal danneggiato nel rapporto con altri, che gli impedisce di svolgere le normali attività di vita quotidiana e che gli causa un peggioramento della propria esistenza (c.d. danno biologico),misurabile e suscettibile di valutazione medico legale;
- la componente da sofferenza soggettiva interiore, ovvero il pregiudizio subito dal danneggiato nel suo rapporto con sé stesso, nella sfera interiore che gli causa un’intensa sofferenza interna, vergogna, paura, disistima, dolore o patimento d’animo (danno morale).
Il danno morale del whistleblower
Nel caso di specie il giudice non ravvisa il danno biologico, poiché il disagio e la sofferenza della ricorrente non sono sfociati in una patologia certificata e documentata, ma riconosce, per la prima volta in Italia, il danno morale della segnalante, quantificandolo in via equitativa.
Come specifica la sentenza: “nel corso del giudizio è innegabilmente emersa la penosità dell’ambiente di lavoro nel quale la ricorrente ha dovuto lavorare, il profondo senso di malessere, isolamento, emarginazione e umiliazione che ella deve aver provato nella consapevolezza di lavorare con colleghi che non perdevano occasione di manifestare, anche in modo brusco, se non aggressivo, ostilità e rancore nei suoi confronti per aver dato avvio a una serie di iniziative a controllo delle erogazioni di cui, negli anni precedenti, erano stati beneficiari”.
Nonostante si tratti di una sentenza di primo grado, questa rappresenta un primo tassello importante nel riconoscimento del risarcimento dei danni non patrimoniali e non biologici.
Da oggi in avanti quindi non sarà più necessario dimostrare che i comportamenti ritorsivi nei confronti del segnalante abbiano provocato uno stato patologico medicalmente accertato, potendosi configurare una responsabilità datoriale anche nel caso in cui i comportamenti di cui sopra abbiano causato sentimenti di paura, disperazione, vergogna ecc..
L’importanza di una corretta gestione del canale whistleblowing
La sentenza esaminata impone alcune riflessioni importanti relativamente all’istituto del whistleblowing.
Come è noto, il D.Lgs. 24/2023, che ha recepito la Direttiva Europea 2019/1937, obbliga tutte le imprese con più di 50 dipendenti a dotarsi di sistemi whistleblowing conformi alla normativa europea.
Riassumendo brevemente, il testo:
- prevede l’istituzione di canali di segnalazione esterni (ANAC) e interni (che possono anche essere gestiti da un soggetto esterno dotato di indipendenza, imparzialità e riservatezza nella gestione delle segnalazioni);
- garantisce misure di protezione per il segnalante contro eventuali ritorsioni (quali licenziamento, demansionamento, sanzioni disciplinari ecc…)
- scandisce delle tempistiche precise per la gestione della segnalazione e della conseguente istruttoria, che può a sua volta generare l’avvio di un’internal investigation.
Per tale motivo, al fine di non incorrere in sanzioni ANAC (che possono anche a 50.000 euro) e condanne al risarcimento del danno del segnalante (come nel caso della sentenza in esame), è fondamentale farsi affiancare da personale esperto che sappia da un lato garantire la corretta gestione della segnalazione e tutte le tutele che la legge accorda al whistleblower, dall’altro che abbia le capacità tecniche di condurre adeguatamente indagini aziendali che possono avere ad oggetto comportamenti non etici, ambiente di lavoro tossico, discriminazioni e molestie sul luogo di lavoro.



